Variante 15 centri storici: le nostre osservazioni

 

Come associazioni ambientaliste e come comitati di cittadini sensibili anche al paesaggio urbano (si veda la Convenzione europea sul paesaggio) non abbiamo potuto fare altro che presentare osservazioni in chiave critica alla variante dei centri storici di Arco.

La Variante 15 Centri storici si pone infatti in controtendenza rispetto ad un’effettiva tutela dei centri storici poiché si presenta sostanzialmente quale norma in bianco che lascerà spazio a soluzioni architettoniche imprevedibili.

Di seguito il documento che  presentato come Comitato Salvaguardia dell’Olivaia, Comitato Sviluppo Sostenibile, Italia Nostra sez. Trentino, WWF Italia.

Il documento è un po’ lungo, mettetevi comodi.

File PDF osservazioni variante 15 centri storici

Arco, 24 ottobre 2016

Spett.Le Dirigente Area Tecnica

Comune di Arco

Dott.ssa Bianca Maria Simoncelli

Spett.Le

Dirigente Servizio urbanistica e Tutela del Paesaggio

Arch. Angiola Turella

Via Mantova 67-38100 Trento

Spett.Le

Dirigente Soprintendenza per I Beni Culturali

Dott. Franco Marzatico

Via S.Marco 27 – 38100 Trento

e per cc.

Egr. Ass. Cultura e urbanistica

Comune di Arco

Dott. Stefano Miori

C/O Municipio

 

 

OGGETTO:Osservazioni alla variante dei centri storici.

Introduzione

Il paesaggio Italiano beneficia anche della bellezza e delle caratteristiche dei suoi centri storici; il paesaggio è bene collettivo e conferisce identità alle comunità.

Si assiste da anni alla sforzo della PAT alla sensibilizzazione su tutte le tematiche legate al paesaggio, centri storici inclusi. Citiamo ad esempio il documento scaricabile :http://www.urbanistica.provincia.tn.it/binary/pat_urbanistica/indirizzi_e_criteri/PARTE_TERZA.1243588886.pdf.

Non sono mancati convegni, studi e pubblicazioni in tal senso. Dalla sensibilizzazione si è passati alla tutela dello paesaggio stesso anche tramite la legge sul governo del territorio.

Affinché l’impiego di tante risorse abbia un senso e non risulti, invece, vano è necessario che la tutela del paesaggio si declini in disposizioni normative ed azioni concrete.

Ed è in questa direzione che leggiamo l’art. 103 della L.P. 15/15 a tutela degli insediamenti storici, nel quale è riportata un’importante indicazione di indirizzo:la pianificazione urbanistica persegue la tutela del tessuto storico, sociale, culturale ed economico degli insediamenti storici e degli insediamenti storici a carattere sparso” ed al secondo comma declina concretamente le modalità per attuare detta tutela prevedendo che: “per garantire l’omogeneità della pianificazione degli insediamenti storici, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di questa legge, la Giunta provinciale, sentita la CUP, stabilisce indirizzi e criteri generali per individuare nel PRG gli insediamenti storici, per tutelare gli insiemi di elementi costituiti da edifici e spazi aperti che connotano l’antico nucleo sotto il profilo storico e culturale locale e per definire le modalità di conservazione, recupero e valorizzazione e le condizioni di ammissibilità degli interventi innovativi, integrativi o sostitutivi sugli immobili e i siti in essi compresi e le funzioni coerenti con le caratteristiche insediative del centro storico.”

Come associazioni ambientaliste e come comitati di cittadini sensibili anche al paesaggio urbano (si veda la Convenzione europea sul paesaggio) non possiamo che presentare osservazioni in chiave critica alla variante dei centri storici di Arco.

La presente Variante si pone in controtendenza rispetto ad un’effettiva tutela dei centri storici poiché si presenta sostanzialmente quale norma in bianco che lascerà spazio a soluzioni architettoniche imprevedibili.

Premessa

La legge provinciale per il governo del territorio ha modificato la classificazione delle categorie d’intervento e introdotto novità riguardo alla disciplina urbanistica dei centri storici.

Con l’art. 77 la ristrutturazione e della demolizione con ricostruzione sono state accorpate in un’unica categoria d’intervento: la ristrutturazione. Conseguentemente gli interventi sugli edifici rientranti nella preesistente categoria R3 si sono automaticamente trasformati tutti in potenziali demolizioni e ricostruzioni con ampliamento fino al 20%.

Con l’art. 105 è stata prevista la possibilità di sopraelevazione entro un massimo di un metro. Tale disposizione si applica decorsi 12 mesi dall’entrata in vigore della legge al fine di consentire ai Comuni di introdurre deroghe alla sopraelevazione per edifici con specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche.

Numerosi comuni hanno adeguato le norme tecniche di attuazione dei rispettivi PRG per recepire le disposizioni dell’art.105 e hanno modificato le schede degli edifici dei centri storici per i quali, in ragione della presenza di specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, hanno ritenuto di non concedere la sopraelevazione di 1 metro.

Alla luce della nuova normativa provinciale una variante rispettosa del contesto centro storico avrebbe dovuto porre l’attenzione:

  • sugli edifici soggetti a risanamento conservativo per i quali la sopraelevazione era incompatibile;

  • verificare la congruità con il contesto circostante di un intervento di ristrutturazione nell’attuale accezione riportando, se del caso, alcuni interventi nella categoria del risanamento conservativo proprio allo scopo di evitare la demolizione e il conseguente inserimento nei centri storici di corpi estranei con dimensioni potenzialmente importanti per effetto dell’aumento del 20% e del bonus energetico.

  • prima di intervenire sulla parte relativa ai criteri tipologici dei centri storici e sulle norme attuative si sarebbe dovuto attendere il regolamento provinciale di cui all’art. 103, mantenendo nel frattempo salvi sia i criteri tipologici per i centri storici, norma cogente del P.R.G., sia le disposizioni d’attuazione.

Purtroppo nulla di tutto ciò è stato riscontrato nella Variante anche perché sin dall’inizio i suoi obiettivi andavano in tutt’altra direzione.

Obiettivi della variante sui centri storici

L’amministrazione di Arco aveva messo in cantiere la variante sui centri storici già dal dicembre 2014 in una logica dettata dall’ammodernamento del tessuto urbano legato anche all’esigenze di rilanciare il comparto dell’edilizia. La rivisitazione delle schede degli edifici del centro storico nasceva dalla volontà di ampliare gli interventi e di lasciarli, anche da punto di vista architettonico e tipologico, più liberi possibili.

*****

Per effetto di tale Variante si può affermare l’indebolimento nel comune di Arco di una disciplina specifica per l’ambito del centro storico e per i manufatti storico isolati.

Tutto il patrimonio edilizio storico è stato classificato per categoria d’intervento generale ai sensi dell’art. 77, distinguendo tra risanamento conservativo e ristrutturazione, modificando buona parte dei criteri tipologici e delle norme tecniche d’attuazione di riferimento, lasciando come principale parametro a tutela del centro storico i vincoli di facciata e di allineamento. Le singole schede non forniscono indicazione tipologica precisa e vincolante.

Entrando nello specifico si osserva :

A) In merito alle categorie d’intervento

Esaminate le schede dei singoli edifici non può che ribadirsi l’allarme sul futuro assetto dei nuclei storici, specie nelle frazioni.

Precedentemente, la possibilità di demolire e ricostruire un edificio doveva essere esplicitata nella scheda, mentre l’intervento di ristrutturazione consentiva di modificarne l’impianto strutturale interno e distributivo, l’aspetto architettonico, i tipi e il modo d’uso dei materiali, purché le murature perimetrali non venissero demolite lasciandone pertanto invariato il sedime. Con le nuove disposizioni invece la ristrutturazione comporta la possibilità di demolire e ricostruire un edificio anche fuori sedime con ampliamento volumetrico del 20% usufruendo inoltre del bonus volumetrico legato al risparmio energetico della nuova costruzione.

Nella analisi delle singole schede ci si è soffermati sugli edifici con categoria di intervento R3 (Ristrutturazione) dato che, a fronte della possibilità di demolizione e ricostruzione anche fuori sedime con forti incentivi volumetrici, sono gli interventi che rendono concreto il rischio di alterare l’articolazione storico-urbana che caratterizza i “diversi” centri storici del Comune di Arco.

Le schede peraltro sono anch’esse in bianco in quanto non vi è alcuna prescrizione oggettiva, riportando solo indicazioni generiche oggetto soggette alle più svariate interpretazioni.

Su un totale di 2300 edifici censiti sono oltre 600 le costruzioni rientranti nella categoria di intervento R3. In questo conteggio sono rimasti esclusi alcuni edifici storici isolati oggetto in variante di ristrutturazione e pertanto il totale riportato è in difetto.

Gli edifici con categoria R3 sono pari ad almeno il 26% del totale degli edifici storici censiti. Nella tabella sottostante sono riportati i dati riepilogativi suddivisi per frazione. Pur tenendo conto di alcuni inevitabili errori e omissioni, la tabella fornisce un quadro significativo della “ portata “ della variante.

Nella colonna A viene portato il numero totale degli edifici soggetti a ristrutturazione, e dunque a demolizione e ricostruzione con ampliamenti (20% e bonus energetici), nelle altre c’è il raffronto con la situazione precedente.

A

totale

edifici storici

categoria R3

B

Edifici con nuova numerazione

C

edifici passati dalla cat. R2 alla cat. R3

D

edifici passati dalla demolizione alla cat. R3

E

edifici che

hanno conservato la cat. R3

Arco

123

14

12

14

83

Grotta

29

4

1

1

23

S. Giorgio

22

3

1

18

Moletta

8

2

6

Varignano

37

8

8

21

Vigne

45

7

4

1

33

Chiarano

40

8

11

1

20

Ceole

14

4

3

7

Padaro

10

1

1

8

S. Martino

40

7

13

1

19

Massone

38

10

4

24

Bolognano

70

19

9

42

Vignole

49

9

18

2

20

Mogno

41

5

2

2

32

Caneve

17

3

3

11

Pratosaiano

15

1

3

11

Troiana

1

1

0

Braila

2

2

———–

————-

————-

————-

———–

Totale

601

105

91

25

380

Legenda :

Colonna A : edifici storici con categoria R3 – Ristrutturazione in variante

Colonna B : edifici storici aventi categoria R3 in variante che nella scheda precedente portavano numerazione diversa. Parte rilevante di questi sono stati oggetto di ristrutturazione o risanamento conservativo dall’ ultimo censimento dei centri storici .

Colonna C : edifici storici aventi nella scheda precedente categoria R2 – Risanamento conservativo passati in variante a R3

Colonna D : edifici storici aventi nella scheda precedente categoria R4 – Demolizione passati in variante a R3

Colonna E : edifici storici che hanno conservato anche in variante categoria R3

Comparando pertanto la situazione antecedente alla L.P. n. 15/15 e alla Variante ci troviamo con 600 edifici soggetti a ristrutturazione (demolizione e ricostruzione con ampliamento), di questi precedentemente solo 380 avevano come categoria di intervento R3, ripartita tra ristrutturazione e ristrutturazione con demo-ricostruzione, e solo 180 rientravano nella precedente categoria di intervento demolizione e ricostruzione, tipologia di intervento assimilabile all’attuale ristrutturazione.

Si è così passati da 180 su 380 edifici soggetti a demo-ricostruzione a ben 600: questa è la portata effettiva della variante.

105 edifici nella scheda precedente portavano numerazione diversa; nella maggior parte dei casi sono stati oggetto di intervento nei vent’anni dall’ultimo censimento.

In 91 casi la scheda precedente prevedeva il risanamento conservativo come categoria di intervento; quindi non appare giustificata la modifica della categoria di intervento in ristrutturazione. Se un edificio in passato meritava di essere conservato non si comprende per quale ragione oggi non lo debba più essere.

In 25 casi era contemplata la demolizione senza ricostruzione in quanto costruzioni del tutto incongrue con il contesto; sembra difficile comprendere che un edificio in completa distonia con l’edificato circostante grazie alla sua ristrutturazione possa porsi in armonia con esso.

A diversi edifici che in anni recenti hanno usufruito di sopraelevazioni o ampliamenti volumetrici viene accordata una ulteriore possibilità di ristrutturazione o nuovamente di godere dei benefici dell’art. 105 L.P. 15/15; riteniamo improponibile la reiterazione di queste concessioni.

Tutto questo per evidenziare come il combinato disposto della L.P. n. 15/15, che ha modificato la categoria d’intervento della ristrutturazione, e della Variante, che a sua volta aumenta gli edifici per cui è ammessa la categoria R3, determina per l’appunto un sensibile aumento degli edifici che potranno essere demoliti e ricostruiti. Il risultato finale è che più di un quarto degli edifici del centro storico potrà subire modifiche sostanziali che non potranno non avere notevoli ripercussioni sul quadro d’insieme.

Come se tutto ciò non fosse di per sé sufficiente a mettere in pericolo i nostri nuclei storici la Variante, oltre alla rivisitazione delle singole schede, ha inteso revisionare gli articoli delle N.T.A del P.R.G., cancellando alcuni parametri come quello delle altezze, e spogliare di contenuti i criteri tipologici e costruttivi.

Inoltre, il cambio di categorie d’intervento non risulta motivato caso per caso e questa appare un lacuna posto che non consente di valutare le ragioni ed il procedimento logico seguito l’assenza di motivazioni può lasciare spazio a cambi arbitrari specie nei passaggi da risanamento conservativo a ristrutturazione.

B) criticità nel merito alla soppressione/modifica dei criteri tipologici

Logica e buon senso vorrebbero che, a fronte del considerevole aumento degli edifici soggetti a demolizione e ricostruzione, venissero in qualche misura rafforzati i criteri tipologici per i nuovi edifici al fine di scongiurare “bizzarrie” progettuali capaci di alterare l’armonia paesaggistica dei centri storici.

Se però logica e buon senso possono anche scontrarsi con le diverse sensibilità non è così per le disposizione normative/regolamentari.

I piani regolatori devono disciplinare e governare in modo specifico le modalità d’intervento dei centri storici (v. art. 4 del P.R.G.). La necessità di una specifica pianificazione dei centri storici è ribadita dagli artt. 103 e seguenti della legge n 15/15.

In violazione a tale obbligo regolamentare/normativo la variante opta, nell’attesa del regolamento provinciale di cui all’art. 103, per una  “liberalizzazione” nelle tipologie. Vengono infatti soppresse per come si dirà poi alcuni parametri contenuti nelle disposizioni tecniche d’attuazione e ciò anche in contrasto con lo sforzo di normazione, catalogazione e studio delle tipologie storiche sia dell’accademia sia della politica. In particolare, le normative provinciali e nazionali si sono storicamente sempre mosse in direzione della tutela delle tipologie architettoniche tipiche dei centri storici. Non vi è alcuna ragione di pensare che la prossima normativa PAT non continui con lo stesso orientamento.

La scelta del Comune di Arco di procedere in direzione contraria alla normativa provinciale e nazionale (oltre che probabilmente all’orientamento degli studiosi e al buon senso), produrrà verosimilmente danni all’armonia dei nostri centri storici e difformità di trattamento dei cittadini che potranno usufruire della assenza di vincoli per una limitata finestra temporale rispetto a coloro che invece furono e probabilmente saranno sottoposti alla sopravveniente normativa provinciale.

Le conseguenze che verranno a determinarsi pregiudicheranno irrimediabilmente i nostri centri storici:

  • non si può condividere ad esempio che nel caso di demolizioni e ricostruzioni si conceda la realizzazione di manti di copertura “con forme, materiali e tipologie contemporanee” ovvero con tetti in lamiera anche in forme curvilinee. Ne deriverebbe una distorsione dello scorcio paesaggistico dei tetti del centro storico specie dalla rupe del Castello:

  • non si può condividere sempre nel caso di demo-ricostruzione l’uso di tapparelle come elementi oscuranti invece di battenti in legno oppure la realizzazione di balconi, terrazze e ballatoi “con forme e tipologie contemporanee”. Formulazione quest’ultima molto ambigua che può dar luogo ad interpretazioni assai “creative”;

  • non si può condividere l’assenza di tipologie architettoniche a cui dovrebbero rifarsi i progetti dei nuovi edifici.

Risulta evidente il pericolo che le modifiche introdotte dalla Variante possano causare disarmonie nelle forme e nell’aspetto degli edifici oggetto di ricostruzione rispetto al contesto in cui sono inseriti senza peraltro migliorare la funzionalità e il comfort abitativo degli stessi.

Non vorremmo che queste “aperture” all’architettura contemporanea nel centro storico fossero dettate anche dall’esigenza di giustificare ex-post l’uso di assai discutibili soluzioni assentite in occasione di alcune recenti concessioni edilizie di demo-ricostruzione o di piani attuativi approvati nell’ambito del centro storico di Arco e delle sue frazioni.

C) Criticità nel merito alle modifiche delle norme tecniche d’attuazione

Le modifiche apportate dalla variante alle NTA hanno riguardato in particolare l’art. 11 – Aree residenziali nell’ambito dei centri storici e manufatti storici isolati sia per il necessario adeguamento alla normativa provinciale, sia per introdurre ulteriori prescrizioni.

Si giudica negativamente l’eliminazione nell’art.11, comma 4, della prescrizione relativa all’altezza massima non superiore a quella degli edifici circostanti. Nella nota a fianco si precisa che il punto viene eliminato perché ridondante. Ciò può essere vero per gli edifici con vincolo di facciata, ma per quelli senza vincoli in virtù dei corposi bonus volumetrici in caso di demolizione e ricostruzione l’edificio ricostruito può essere sopraelevato ben al di sopra delle costruzioni limitrofe con grave alterazione del profilo del centro storico.

Si ritiene positiva l’introduzione dei vincoli di facciata articolati su tre livelli con gradi crescenti di vincolo al fine di tutelare meglio aspetto e conformazione del centro storico in presenza di una estesa applicazione della demo-ricostruzione.

Notiamo però dalla lettura delle cartografie dei vari centri storici che, nel caso di demolizione e ricostruzione consentita per un insieme di edifici, il vincolo di facciata previsto consiste per lo più nel semplice vincolo di allineamento delle facciate.

In non pochi casi sarebbe stato preferibile introdurre il vincolo di livello superiore ovvero di fronti da riqualificare unitariamente per non creare possibili disarmonie con gli edifici limitrofi.

Vi è poi il caso di edifici classificati R3 posti in aderenza con edifici oggetto di risanamento conservativo aventi questi ultimi il vincolo di facciata da riqualificare unitariamente.

Nella stragrande maggioranza dei casi questi edifici da demolire e ricostruire riportano in cartografia il semplice vincolo di allineamento, mentre sarebbe logico anche per essi di adeguarsi alla tipologia di facciata di quelli contigui oggetto di risanamento conservativo.

Questa libertà di facciata unita alle modifiche “moderniste” introdotte ai criteri tipologici e costruttivi può portare ad uno snaturamento delle caratteristiche dei centri storici.

La variante stabilisce che in caso di demolizione e ricostruzione il nuovo edificio sia riproposto su almeno il 50% del sedime originario. Valutiamo corretta l’introduzione di questo limite per evitare, soprattutto nel caso degli edifici isolati e di quelli posti ai margini dei centri storici, lo spostamento dei volumi, in un’ottica di salvaguardia del territorio e di riduzione del consumo di suolo.

D) Rilievi puntuali

1) Si rileva che per edifici soggetti a vincoli dei Beni Culturali il vincolo di facciata connotato da pallini rossi riguarda solamente il fronte prospiciente la via, ma non quello interno. Nel caso di edifici di elevato interesse storico e culturale come Palazzo Marchetti o Palazzo del Termine caratterizzati sul fronte del cortile interno di facciate affrescate non si comprende il motivo della mancata apposizione di questo vincolo. Inoltre per gli edifici classificati R1- Restauro nelle norme tecniche di attuazione andrebbe specificato che in caso di edifici vincolati qualsiasi intervento deve essere sottoposto al parere preventivo della Sovraintendenza dei Beni Culturali.

2) Si rileva la difformità nell’applicazione della previsione dell’art. 105 L.P.15/15 tra il centro storico di Arco e quello delle sue frazioni. Infatti, mentre per gli edifici che affacciano sulle vie storiche di Arco, via Segantini, via Vergolano, via S. Anna, via Ferrera la variante correttamente impone la non sopraelevazione dei sottotetti, agli edifici che prospettano sulle vie principali che attraversano i borghi antichi delle frazioni è, nella generalità dei casi, concesso l’ innalzamento di 1 metro spesso senza il vincolo di facciata da riqualificare unitariamente. Questa facoltà può produrre un’alterazione negativa nel profilo e nelle caratteristiche di queste vie storiche.

3) Si valuta negativamente la modifica dell’articolo 61 Protezione dei contesti paesaggistici che consente ad edifici storici isolati rientranti in zone soggette a vincolo paesaggistico di derogare alla norma che vieta ampliamenti volumetrici. Si ricorda che comunque manterrebbero la possibilità dei bonus energetici. Oltre alla possibile lesione paesaggistica si viene a creare una inaccettabile disparità normativa tra edifici storici e non storici ricadenti nella medesima zona di protezione paesaggistica.

4) Passando all’analisi dei cosiddetti ambiti particolari del centro storico non possiamo che confermare i rilievi critici fatti per i piani recupero del Monastero delle Servite e di Villa San Pietro. In particolare questo secondo appare completamente avulso dal contesto del centro storico cittadino e comunque in evidente contrasto con la disciplina introdotta in variante.

5) Forti perplessità la nuova classificazione, ristrutturazione, prevista per Villa Pasquali e Garage Zamboni in precedenza valutati da demolire in quanto edifici incongrui rispetto all’assetto urbano circostante. La tipologia di Villa Pasquali ove non demolita, meriterebbe la classificazione di risanamento conservativo.

6) Nel caso di edifici storici oggetto anche di vincolo diretto notiamo che la categoria di intervento per l’area di pertinenza non sempre è Rp1 (Restauro) come sarebbe logico attendersi data la rilevanza storico-culturale dell’edificio, ma Rp2 (Risanamento conservativo). In tal modo sono ammissibili interventi come la costruzione di parcheggi interrati incompatibili con il pregio dell’ edificio e con i vincoli dei Beni culturali.

7) Per quanto riguarda edifici storici isolati ubicati in località montane (S. Giovanni e monte Velo ) la relazione non precisa i criteri per i quali alcuni edifici sono stati classificati “ca da mont”, piuttosto che manufatto storico isolato. Osservando alcuni casi specifici, in particolare a S. Giovanni, non è dato di capire se il criterio sia l’epoca della costruzione o piuttosto la sua tipologia costruttiva. La relazione dovrebbe chiarire le modalità di classificazione al fine di poter vagliare la correttezza della classificazione.

8) Un’attenzione specifica merita l’intervento proposto in Variante per Villa Miravalle (scheda ei n. 525). L’edificio in questione nell’ultima rilevazione era classificato con categoria di intervento risanamento conservativo. È stato oggetto assieme ai suoi spazi esterni e ad altre costruzioni di servizio, di importanti lavori di recupero autorizzati con varie concessioni edilizie e SCIA.

A seguito della segnalazione di alcune difformità, l’Amministrazione ingiungeva la rimessa in pristino delle opere eseguite. Accordava la sanatoria, nel frattempo richiesta dalla proprietà, per le opere esterne eseguite in difformità parziale con pagamento delle sanzioni previste. Per gli abusi relativi alle opere intervenute sulla villa che di fatto qualificano l’intervento come ristrutturazione invece del risanamento conservativo risulta in corso la quantificazione del valore venale di quanto costruito in difformità al fine di determinare la sanzione pecuniaria prevista.

Per l’abuso in difformità totale compiuto sul retro della villa non è stata annullata l’ordinanza di rimessa in pristino avendo il TRGA di Trento con la sentenza n. 279/16 rigettato sul punto il ricorso. Attualmente il giudizio d’appello promosso dal proprietario pende avanti al Consiglio di Stato.

Ora nella scheda riguardante la villa viene sorprendentemente prevista la categoria della ristrutturazione, che prevede la possibilità di ampliamento sul retro del 20%. Tale nuova previsione consentirebbe con ogni probabilità di ottenere nelle more del giudizio di ottenere la sanatoria. Vero è che il manufatto è stato ritenuto un corpo autonomo, ma è pur vero che è attiguo all’edificio e dunque potrebbe essere considerato ampliamento dello stesso. Tale modifica, ristrutturazione con ampliamento, appare pertanto incomprensibile a fronte di illeciti edilizi accertati ed al rischio concreto che un abuso oggi insanabile venga, grazie alla variante, sanato divenendo l’opera realizzabile ex post. Ciò potrebbe avvenire in sede giudiziale per il venir meno della materia del contendere,come già avvenuto in altri casi (si veda la sentenza TRGA n. 127/16), ovvero in forza dell’applicazione della tesi giurisprudenziale, conosciuta col nome di “sanatoria giurisprudenziale”, sostenuta per anni anche da alcune sentenze del Consiglio di Stato, per le quali sarebbe assolutamente illogico ed irragionevole demolire un immobile, che seppur conforme al piano urbanistico attuale, risulti difforme dal piano urbanistico vigente al momento della sua realizzazione. Infatti ciò significherebbe che se l’immobile, una volta demolito perché non conforme al piano urbanistico vigente all’epoca della realizzazione manufatto, venisse ricostruito tale e quale a quello demolito sarebbe da considerarsi non abusivo in quanto conforme al piano urbanistico attuale. Ciò, quindi, andrebbe a stridere con i principi di ragionevolezza e logicità che sono i cardini dell’azione amministrativa. Significativa in tal senso la sentenza 7 maggio 2009, n. 2835 della Sez. VI del Consiglio di Stato che ha affermato il principio secondo cui può essere rilasciata la concessione in sanatoria per quelle opere che “realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria”. In sostanza, secondo il giudice amministrativo la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito della conformità “sopraggiunta” di un intervento che in un primo tempo (cioè al momento della sua realizzazione) non era assentibile.

Non solo, ma risulta manifestamente illogico, e questo vale per tutti i manufatti storici che si trovano nelle area di cui all’art. 61 “Protezione dei contesti paesaggistici”, la sottrazione a tale vincolo di alcuni edifici. Basti pensare che contro questo vincolo sono stati presentati dai proprietari della aree interessate, tra cui il proprietario di Villa Miravalle e dell’area limitrofa, due ricorsi al Tar. In questi due giudizi l’Amministrazione comunale ha resistito motivando ed insistendo per la correttezza di tali vincoli data la peculiarità paesaggistica di tali aree. Il Tar con entrambe le sentenza ha avvallato le tesi dell’amministrazione. Nella sentenza 497/15 ha confermato la validità del vincolo: “in considerazione delle specifiche e prevalenti finalità pubbliche di tutela paesaggistica e di contestuale rarefazione edilizia all’interno delle aree individuate, tradottasi congruamente nei divieti di erigere nuove costruzioni e di realizzare sugli edifici esistenti incrementi volumetrici”. E’ seguito l’appello al Consiglio di Stato e la costituzione del Comune in difesa di tale vincolo.

Ebbene con l’attuale Variante l’Amministrazione sconfessa per due volte se stessa. Sconfessa il vincolo dei cui all’art. 61 inserito con la Variate 14, e sconfessa la difesa dello stesso avvenuta nei procedimenti amministrativi. Si tratta di un atteggiamento incomprensibile e in un certo senso schizofrenico.

Essendo pertanto pendenti due giudizi di fronte al Consiglio di Stato il cui esito potrà essere influenzato dalle modifiche avanzate con la Variante, pare che la Variante si stia spingendo su di un terreno delicato e spinoso.

Peraltro, le obiezioni non sono solo di carattere giudiziario, ma anche e soprattutto di merito.

L’ubicazione di Villa Miravalle in un’area agricola di pregio e soggetta, ante Variante, al vincolo di protezione dei contesti paesaggistici, rende assolutamente improprio un suo ampliamento. Senza contare che il recente risanamento conservativo ha già comportato la sopraelevazione. Dunque ogni ulteriore ampliamento non solo non ha ragione d’essere ma inciderebbe negativamente sul paesaggio dell’Olivaia quale bene collettivo così come sostenuto in giudizio dalla stessa amministrazione.

  1. Si è infine riscontrato che in alcuni casi l’identificativo dell’edificio storico riportato in cartografia non corrisponde a quello indicato nella scheda. In altri vi è la discordanza tra la categoria di intervento per l’area di pertinenza segnalata in scheda rispetto a quella indicata in cartografia. Se è pur vero che la norma di attuazione precisa in caso di difformità quale indicazione debba prevalere, sarebbe opportuno per doverosa trasparenza che tali anomalie fossero corrette in seconda adozione.

Conclusioni

Vi è forte la preoccupazione che l’insieme degli interventi previsti in Variante possa comportare uno snaturamento dei centri storici di Arco e delle frazioni.

La filosofia in chiave contemporanea della Variante non convince minimamente anche perché spesso gli interventi di demo-ricostruzione che si sono visti nei centri storici sono apparsi del tutto incongrui e legati più allo sfruttamento dei volumi ed al risparmio dei costi, che a progettazioni di qualità.

Peraltro, se è stata debole in passato la tutela paesaggistica in presenza dei criteri tipologici e delle norme tecniche d’attuazione, chissà cosa potremmo attenderci in caso di allentamento del quadro normativo.

Si invita pertanto l’Amministrazione a voler ripensare alcune delle scelte approvate nella prima adozione della Variante per superare le criticità menzionate, procedendo:

1) ad un attento riesame di tutte le schede che contemplano la categoria R3 effettuando una valutazione anche del contesto limitrofo, riportando alcuni edifici nella categoria R2 e imponendo vincoli di facciata più strinegnti al fine di scongiurare la demolizione e ricostruzione di più di un quarto dei nostri centri storici con effetti oggi non prevedibili ;

2) a limitare la previsione per gli interventi R3 della quota di ampliamento del 20%. Sia perché tale previsione disincentiva l’uso dell’ampliamento per i bonus energetici, sia per gli effetti devastanti di un’eventuale sommatoria dei due aumenti che porterebbe alla realizzazione di edifici del tutto fuori scala rispetto al contesto dei centri storici.

3) tra gli edifici per i quali è prevista la ristrutturazione ve ne sono alcuni che nel corso degli ultimi vent’anni sono già stati ampliati o sopraelevati per questi a maggior ragione non dovrebbero essere previsti ulteriori ampliamenti;

4) al mantenimento per tutti gli edifici storici isolati del vincolo paesaggistico di cui all’art. 61 delle N.T.A. con conseguente divieto di ampliamento. Ampliamento di cui possono comunque beneficiare in forza del bonus energetico. Il Tar con con la sentenza n. 497/15 ha confermato la validità del vincolo: “in considerazione delle specifiche e prevalenti finalità pubbliche di tutela paesaggistica e di contestuale rarefazione edilizia all’interno delle aree individuate, tradottasi congruamente nei divieti di erigere nuove costruzioni e di realizzare sugli edifici esistenti incrementi volumetrici”.

5) al mantenimento del vincolo delle altezze attualmente presente nelle NTA e in toto dei criteri tipologici e costruttivi esistenti, fino all’entrata in vigore e al conseguente adeguamento al regolamento provinciale. Viceversa si verificherebbe un vuoto normativo/regolamentare illegittimo.

Alla luce della prossima emanazione di una nuova disciplina provinciale a tutela dei centri storici riteniamo che ogni intervento debba attendere al fine di non creare da un lato un vuoto regolamentare e dall’altro imporre nel giro di pochi mesi nuove modifiche.

Si confida nell’accoglimento delle presenti osservazioni a tutela dell’interesse collettivo.

Pubblicato da salvaguardiaolivaia

Il Comitato Salvaguardia dell'Olivaia nasce ad Arco nel 2013 e si interessa della salvaguardia del paesaggio nell'Alto Garda. E' composto da cittadini che pensano che l'ambiente altogardesano sia da preservare dalle colate di cemento e dall'eccessiva antropizzazione che lo minacciano fino a renderlo irriconoscibile. Così prezioso, così fragile!